09 giugno 2022

Gli olmi

Gli olmi

Gli olmi

La famiglia delle Ulmaceae raccoglie una lunga serie di alberi denominati olmi e diffusi in Europa, Asia e America settentrionale e utilizzati anche come piante ornamentali oltre che in selvicoltura e per il legno. Raggiungono i 25 metri e, soprattutto all’inizio della primavera, spiccano tra ogni altro vegetale per il bel colore verde chiaro che è dato esclusivamente dalle samare, cioè dai frutti alati di cui la pianta si ricopre prima di mettere le foglioline. I fiori, ermafroditi e riuniti in infiorescenze, presentano un ovario supero. 

La “grafiosi”, una malattia provocata da un fungo venuto dall’Asia intorno agli anni venti dell’altro secolo, ha costituito e purtroppo costituisce un serio pericolo per l’intero genere Ulmus. Un ceppo più violento dello stesso fungo individuato in Europa nel 1967 ha causato una vera e propria strage portando a morte milioni di esemplari adulti. Il fungo ostruisce i vasi linfatici e compromette la circolazione della linfa; all’iniziale ingiallimento delle foglie segue il disseccamento dei rami e di intere branche fino alla morte dell’esemplare attaccato. È un’infezione che interessa soprattutto esemplari adulti e di buona mole, mentre in genere lascia indenni le piantine fino a pochi metri d’altezza. Fortunatamente la ricerca scientifica ha consentito di selezionare una varietà resistente alla grafiosi.

Benché sia difficile orientarsi tra le decine di specie e ibridi naturali o artificiali, con un po’ di attenzione si riesce a discriminare almeno tra alcune delle specie presenti nel nostro territorio. Le samare appaiono precocemente e, prima di maturare, sono di un bel verde tenue, tanto da sembrare, a prima vista, delle foglioline. Tutti gli olmi presentano una buona capacità di emettere polloni e perciò sono generalmente allevati a ceduo e utilizzati per produrre soprattutto legna da ardere. 

Proviamo ora a districarci tra alcune specie in cui possiamo imbatterci, individuando le peculiarità che ci possono aiutare in questa operazione.

Ulmus laevis, normalmente noto come “olmo bianco” o “olmo ciliato”, è forse il più diffuso in Europa e raggiunge i 30 metri di altezza. Se osserviamo le foglie, notiamo che presentano le seguenti caratteristiche: base della lamina asimmetrica, margini dentati e assenza di ramificazioni della nervatura. Il termine latino laevis, che ne definisce la specie, allude al fatto che la pagina inferiore è vellutata. Osserviamo ora il frutto, che è una samara peduncolata e fittamente ciliata lungo i bordi, da cui il termine di olmo “ciliato”. Le samare dell’olmo bianco, più lunghe che larghe (15 x 10 mm.), sono riunite in gruppi di alcune decine, hanno lunghi peduncoli e contengono un unico seme rotondo. I rametti privi di peluria e con piccole gemme alterne lo distinguono dall’Olmo montano (Ulmus glabra) che invece ha rametti caratterizzati da una fine peluria. 

Il vasto apparato radicale è piuttosto superficiale e spesso forma un sistema di contrafforti alla base del tronco. Si tratta perciò di specie da non utilizzare ai lati delle strade o lungo i marciapiedi che, col passare del tempo, verrebbero letteralmente sollevati dalle forti radici. 

Molto diffuso nelle nostre campagne era un tempo l’Ulmus minor, noto anche con il nome di olmo campestre che spesso accompagnava e veniva usato come tutore delle viti alternandosi agli esemplari di orniello (Fraxinus ornus). Le radici, a differenza di altre specie, sono estese e si sviluppano in profondità. Purtroppo negli ultimi decenni si è registrata una progressiva riduzione della sua presenza a causa della grafiosi.

Molte sono le leggende che si riferiscono all’olmo nella mitologia delle popolazioni greche, latine, germaniche e francesi. L’olmo assumeva di volta in volta i significati più diversi, presentandosi come la pianta che ricordava la prima donna sulla terra di cui assumeva l’antico nome germanico, Embla, mentre per i greci e i latini era l’albero della notte, del sogno, del sonno e della morte. In Francia sotto le sue fronde si amministrava la giustizia, tanto che “aspettare sotto l’olmo” stava a significare la volontà di non incontrarsi, dato che ciò avrebbe comportato un sottomettersi a giudizio. 

Tra le citazioni che si trovano nelle liriche di vari autori mi piace riportare la traduzione di qualche verso di Virgilio che, in apertura delle Georgiche, così ricorda il nostro albero: Cosa rende ridente la campagna/questo canterò, o Mecenate,/la stagione in cui si dissoda la terra,/si legano agli olmi le viti.

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